Macera della Morte

Da Colle d'Arquata alla scoperta del versante Sud della Laga.
Un versante quasi sconosciuto per me, quello marchigiano che da sulle vette Nord della Laga, molto intricato, boscoso, neve dai 1250 metri in poi e poco frequantato; momenti di splendida solitudine accompagnati da panorami ed orizzonti nuovi e, favorevole la giornata luminosa, estesi fino al Terminillo e al Prena. La linea del mare era coperta da un grigio strato nebbioso.


Il Vettore ci ha respinto per ben due volte a causa di condizioni meteo proibitive, quelle ottimali di oggi avrebbero attirato folle improponibili, motivo per cui ci siamo diretti verso la Laga e senza varcare i confini di regione per gli ovvii motivi che ormai ci sono diventati familiari, ci siamo diretti verso Macera della Morte con partenza da Colle, un pugno di case appollaiate a 1000 m. di quota sulla media valle del fosso Chiarino. Ricordavo poco o nulla di questa salita che feci molti anni fa, qualche ricordo è tornato in prossimità del paese quando ho visto la chiesetta di Sant’Amico sopra il paese, ma curiosità ed eccitazioni erano forti, avevo voglia di conoscere il territorio, la linea di salita tra i boschi e le diverse valli di questo versante della Laga, praticamente per me quasi sconosciuto e tutto da approfondire. Parcheggiamo prima del ponte che fa entrare nel borgo di Colle, le case sono ancora in ombra, il freddo è pungente ma nemmeno troppo ostile per essere in Febbraio; si scende la rampa a sinistra del ponte per attraversare il ruscello e risalire quella che subito dopo sale tra il corso del torrente e le ultime case del paese; per ampi tornanti si sale il ripido pendio sopra i tetti delle case fino alla chiesetta di Sant’Amico il cui profilo si delinea in controluce sullo sfondo del cielo ancora lattiginoso. Suggestivo il colpo d’occhio che si gode dalla chiesetta sui tetti di Colle e su tutta la valle che si allunga fino al Tronto e alla Salaria giù in fondo; dalla chiesetta si prende una traccia ben marcata che si delinea alla sua sinistra, molti i segnavia bianco-rossi, il sentiero vira subito un po’ a destra e dopo un roccione inizia a scorrere sopra l’ampia e boscosa valle del Chiarino che si va incastrando tra il monte le Vene e le pendici della Macera; molto presto tocca superare una serie di blocchi franati compiendo una piccola ma non facile deviazione a causa del ripido pendio, della vegetazione ancora non pulita e della traccia ancora non aperta; quasi sempre in piano o con minima pendenza si raggiunge un bivio ben marcato da una palina segnaletica (+30 min.), a sinistra si delinea in salita il sentiero Italia, il 310 sulla carta della Laga ed. SER, che per il passo del Chino e da lì verso destra quasi sempre in cresta raggiunge la Macera; scendiamo invece la traccia a destra della palina, indicazioni per la cascata della Padura (non raggiungibile a causa di una vecchia grossa frana che ha sconvolto il versante e chiuso la strada per la presa Enel) e per l’eremo di Sant’Amico; più che per il passo del Chino è questo il sentiero più usato in verità per raggiungere la macera, molto utilizzato dagli sciatori e leggermente più breve di quello che sale al passo. Pochi minuti e si guada facilmente il fosso Vargo, oggi rumoroso e carico di acqua. Superato il fosso si prende in salita, ora più marcata, e con diversi tornanti si sale di quota fino ad intercettare un’ampia carrareccia (1350m. +35 min.), sepolta oggi da venti cm. di neve; è la strada di servizio che conduce alla presa Enel e alla cascata Padura sul Chiarino. Un momento di incertezza l’abbiamo avuta, sul lato opposto della strada una traccia fresca di ciaspolata si alza nella boscaglia ma seguendo una vecchia relazione che avevo letto prendiamo a destra per la presa Enel e la cascata (nessuna indicazione sul posto), da li avremmo raggiunto la cresta per la Macera, peccato che non eravamo informati della grossa frana scesa a sbarrare il versante, tra andata e ritorno abbiamo allungato di un chilometro e mezzo per ritornare a prendere la traccia che avevamo notato nel momento che abbiamo intercettato la sterrata. Da qui, nonostante sia in effetti una delle tracce più battute per salire alla Macera, spariscono completamente i segnavia, meno male che oggi non servono, ci è bastato seguire le tracce dei tanti che ci hanno preceduto; la salita, anche se priva di strappi non riserva più un momento di pausa, la traccia mantiene un traverso diagonale sul versante del Cornillo districandosi in un bosco rado e basso dove il sole filtrando di traverso creava belle situazioni; salendo di quota alle nostre spalle si andava scoprendo l’orizzonte, si allungava sulla lunga dorsale che univa i Reatini ai Sibillini, dal monte Pozzoni fino al Vettore, la giornata sfavillante iniziava a regalare momenti di ampi respiri che avevamo dimenticato. Raggiungiamo a quota 1500 il rifugio ENEL , una struttura in lamiera posto in uno stretto spiazzo panoramicissimo, pulita struttura dotata di stufa, panche e tavolo; ne approfittiamo per una breve sosta prima di ricominciare a salire in ambiente simile al precedente, ampie radure e boscaglia rada e bassa fino a raggiungere un breve ma bellissimo tratto di bosco ordinato e pulito, alti e diritti faggi, un esercito di tronchi verticali che contrastano col bianco vergine del manto nevoso e con l’azzurro del cielo; questo bosco è citato su tutte le relazioni rintracciabili, la sua bellezza è davvero suggestiva. Mancano anche qui i segnali e a parte la profonda traccia di chi ci ha preceduto e che ci ha reso la vita facile, ci si deve tenere in linea più o meno retta verso il punto dell’orizzonte di massima pendenza. Il bosco finisce presto, peccato, lascia spazio ad ampie radure interrotte da sparuti gruppi di bassi faggi, il manto di neve è immacolato, solo la linea della traccia di chi ci è avanti e quella dell’orizzonte ad interromperlo; iniziamo a pensare che la linea all’orizzonte sia la cresta sommitale. Poco prima di raggiungerla intuiamo che l’accoppiata sole e vento ha lavorato bene, la cresta è spoglia, bruna di quell’erba arsa dal gelo e dall’inverno; gli orizzonti si sono allargati, bella e insolita l’infilata del monte Comunitore col Vettore imponente subito dietro, definita nella sua interezza la dorsale continua e quasi spoglia di neve che fila, tra quest’ultimo fino al monte Pizzone e più in là al Terminillo, meno distinto e luccicante di ghiaccio, una meraviglia. A Sud si inizia ad imporre la piramide del Sevo, la più vicina piccola cresta tagliata di netto del monte le Vene e verso est una linea di elevazioni che terminano con l’anticima della Macera. Tocca togliere le ciaspole in cresta, raggiungo la prima elevazione che si affaccia sulla grande valle sottostante che avevo potuto ammirare in autunno dalla cresta di San Paolo, un dedalo di piccole elevazioni incastrate una sull’altra, fossi, e giù in fondo dove l’imbuto sembra confluire il borgo di Umito; lì sotto, non molto lontano c’è la cascata della Volpara da qualche parte, ben presto l’andrò a scovare. Non rimane che continuare a salire, più o meno continuando sul profilo della dorsale, avvicinandoci a quella che sembra la cima della Macera ci rimettiamo le ciaspole; la deviazione improvvida della mattina ci ha fatto perdere tempo, siamo in ritardo ma stavolta siamo decisi ad arrivare. Le dimensioni si perdono come sempre quando davanti hai orizzonti di grandi montagne, ciò che sembra vicino non lo è e il tempo continua a passare, non possiamo mollare sul più bello, scopriamo la linea di cima Lepri e quando raggiungiamo la successiva elevazione anche il Moscio, la sorpresa è che la vetta della Macera è ancora lontana o almeno così ci sembra. La raggiungiamo (+2,10 ore) stanchissimi dalla lunga salita ma finalmente centriamo l’obiettivo. Un sole accecante si specchia su manto di neve vergine, i versanti del Sevo luccicano, anche le cime arruffate del Gran Sasso, dalle parti del Prena, spuntano dietro le creste che scendono dal Moscio, non rimane che rilassarsi, abbiamo poco tempo tocca essere veloci nel ripartire, le giornate sono ancora corte; belli i Sibillini, si sfilano da Sud Ovest verso Nord Est, si riesce a vedere persino la Sibilla, si distingue il nuovo Zilioli… quanto ci sono mancati questi panorami, queste giornate piene di sudore e affanno, di gambe dure, di silenzi per concentrarsi e sopportare e che si liberano d’incanto in entusiasmo quando raggiungi la meta e non hai più nulla da salire. Ci voleva, e aggiungo finalmente. Si sono fatte quasi le due del pomeriggio, dobbiamo arrivare a Colle con la luce e di strada ce ne è tanta davanti; ripercorriamo le nostre stesse tracce, la testa si svuota, non c’è più nulla da decidere e andare è una delizia con mille particolari da non perdere, superlativo riattraversare il bosco dagli alti faggi, ambiente fiabesco con la neve che pulisce tutto, ci concediamo una piacevole sosta quando raggiungiamo il rifugio, prendiamo da dentro anche una panca e ci mettiamo al sole per qualche attimo, il silenzio è irreale. Le ombre cominciano ad allungarsi ma siamo stati veloci fin qui e non ci facciamo prendere dalla fretta, riponiamo la panca all’interno del rifugio, ci assicuriamo che la porta sia chiusa e riprendiamo a scendere, raggiungiamo la strada e ancora giù per le tante svolte fino a risentire lo scorrere dell’acqua del torrente Vargo, lo attraversiamo di nuovo e via ormai in piano verso Colle col sole in faccia, ora carico di una luminosità tenue ma ancora calda; clima mite e momenti di immobilità rilassano l’anima. Compare tra la boscaglia il profilo della chiesetta di Sant’Amico, siamo ormai arrivati, e poi i tetti di Colle, il borgo nel pomeriggio sorge in splendida posizione assolata, dai camini si alzano sottili colonne di fumo che con l’assoluta assenza di vento tardano a disperdersi. Oggi sono scorsi una serie interminabile di istanti belli, una serie di fermi immagine da portarsi dentro quando riprenderemo a parlare di lockdown, di colori e di isolamento e quando ci paventeranno ancora lunghi periodi di immobilità. C’è stata anche tanta fatica per questa lunga interminabile salita, siamo di certo fuori forma ma è stato bello risentirla, ci ha caricati, ci ha dato vita. Bello riprendersi la vita.